venerdì 14 marzo 2008

Tibet libero!

Azione giovani Cagliari, movimento giovanile di Alleanza Nazionale, esprime la propria solidarietà ai Monaci e alla popolazione tibetana che lotta tutt’oggi, come in passato, contro l’occupazione e il dominio cinese nello Stato il cui legittimo governo è in esilio da decenni.
La comunità internazionale non può far finta di niente e chiudere gli occhi solamente perché la Cina è considerata una Grande potenza. Non si possono chiudere gli occhi davanti alla continua violazione dei diritti umani, al continuo disprezzo della cultura tibetana, alla sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali del territorio al solo profitto della dittatura cinese.
Considerato che in Cina si svolgeranno le Olimpiadi, da sempre considerate attività portatrici di un messaggio di pace e libertà, vogliamo che l’Italia sia in prima fila per chiedere la fine della violenza e dell’occupazione cinese in Tibet.
Il PDL, ma speriamo che anche il PD e Veltroni e le altre forze politiche, siano favorevoli a questo, prenda posizione e solidarizzi con la causa tibetana. Un movimento che si chiama popolo della libertà non può che condannare un regime che la nega.E' un regime che sta compiendo un vero olocausto nel tetto del mondo.

giovedì 6 marzo 2008

I morti di Gaza non esistono


In Palestina sono decenni che, quando più quando meno, l’esercito di un’impresa occupante per conto dell’Occidente chiamata “Stato d’Israele” (ma la cui esatta definizione, non ci stancheremo mai di dirlo, è “Entità Sionista”) sottopone la popolazione locale ad ogni tipo di vessazione, dalla distruzione di case, infrastrutture, uliveti e coltivazioni all’assassinio puro e semplice (meglio se di famiglie intere), passando per quelle “misure di sicurezza” come il sistema di “muri” che hanno ridotto la Palestina ad un enorme campo di concentramento, o quei “provvedimenti amministrativi” ordinari (quali le discriminazioni sull’accesso alla proprietà o alle vie di transito a seconda se si è “israeliani” o “palestinesi”) ed eccezionali (quali l’embargo che ha ridotto di recente la popolazione di Gaza né più né meno come quella del celebre Ghetto di Varsavia) che fanno della vita quotidiana degli autoctoni un autentico calvario.

In alcuni frangenti, poi, va in scena l’orrore allo stato puro. Il “male assoluto” già evocato da ometti di nessuno spessore politico per i loro opportunistici calcoli mirati ad ingraziarsi i potenti…
Al termine di un periodo che ha visto la popolazione di Gaza (rea di sostenere Hamas, a sua volta reo di non “riconoscere Israele”, il moderno ‘vitello d’oro’) al freddo, al buio e alla fame a causa della privazione da parte del governo israeliano (in combutta con Usa ed Ue) dei basilari mezzi di sostentamento (e di cura), e che l’ha vista protagonista di memorabili pagine di “resistenza pacifica” come lo sfondamento del muro che separa Gaza dall’Egitto per andare a prendersi il necessario per vivere o la catena umana di circa 40 km che ha visto uniti uomini, donne, vecchi, bambini reclamare un briciolo di pietà e di coerenza da parte di chi dei “diritti umani” ha fatto uno stendardo (agitato quando fa brodo), al termine dunque di questa Via Crucis è arrivata, tra la fine di febbraio e l’inizio di marzo, una tempesta di fuoco (con la consueta sadica denominazione parabiblica) che non ha risparmiato niente e nessuno: oltre cento i morti, tra cui donne, ragazzini, bambini di sei mesi e addirittura di due giorni! Sacrifici umani del terzo millennio nel silenzio totale della cosiddetta “libera informazione”, così solerte nel farci conoscere il nome degli artigianali “razzi Qassam” palestinesi, onde creare correnti d’opinione favorevoli a comprendere le ragioni della “rappresaglia”, mentre non ci è dato di sapere come si chiamano i missili e i colpi di carro armato, altamente tecnologici, che sventrano le case dei palestinesi (i parenti degli immigrati che dovremmo “rispettare”!) e le donne incinte di Ràfah, Khan Yùnis, Jabàliya.
I giornali e le tv “autorevoli” fanno a gara a chi nasconde meglio la verità (e i cadaveri). Prendiamo un esempio tra i tanti che compongono una “storia d’ordinaria censura”.
“La Stampa”, il 3 marzo, a mattanza (quasi) conclusa, ha avuto la faccia tosta di pubblicare, a corredo del solito insulso articolo che gira intorno alla cosa (e, soprattutto, giustifica l’operato di Tel Aviv con ragioni di “sicurezza”), la foto di un “militante palestinese” con la kefia da “terrorista” e il sasso in mano. Ecco, “Israele si difende”, penserà il lettore sprovveduto…
Non mancavano poi le foto delle solite bandiere israeliane e americane bruciate, come se bruciare una bandiera equivalesse a bruciare vive delle persone in casa loro. E che dire dei triti e ritriti appelli affinché “si plachi la violenza”, la “spirale di violenza” cara agli arcobalenisti bertinottiani e, ci riporta lo stesso giornale, anche al Papa?
La palma del ‘disinformatore professionista numero 1’ l’ha guadagnata sul campo l’inviato della Rai Claudio Pagliara, coi denti digrignati e l’aspirata iniziale di “Hamas” che raschia quel tanto da tradire da chi ne ha appreso l’errata pronuncia… messo lì dopo il siluramento di Riccardo Cristiano e lo sbolognamento in Cina dell’“imparziale” Paolo Longo; invece Filippo Landi, altro inviato in zona, non si sa come stia occupando il suo tempo, dato che lo si vede sì e no una volta al mese, mentre Neliana Tersigni, anch’essa poco “affidabile” per Sion, dall’ufficio del Cairo ormai compare solo per raccontare delle innocue banalità. Questo Pagliara, ricordiamolo, è un giornalista della Rai, quindi un dipendente pubblico e perciò responsabile di fronte ai contribuenti del suo operato, che dovrebbe essere “deontologicamente” imparziale e non del tutto assimilabile alla trombetta del 7° Cavalleggeri dei film di John Wayne in versione kippata.
I principali spazi d’informazione presenti su internet, inoltre, non sono da meno: lo stesso “YouTube” sta già provvedendo a rimuovere, per “violazione delle condizioni d’utilizzo” (ma che c… vuol dire!?), alcuni filmati che mostrano cosa è realmente accaduto a Gaza: la censura e lo stravolgimento della realtà, condite dalla neolingua mediatica per cui l’aggredito è l’aggressore, la vittima il carnefice ecc., sono la regola aurea del mondo della pretesa “libera informazione”.
Morso dal dubbio di vivere in un incubo, c’è chi s’è messo a controllare come le principali testate europee hanno coperto i recenti fatti di Gaza ( http://sabbah.biz/mt/archives/2008/03/02/gaza-holocaust-free-media/): chi trova un trafiletto è fortunato!
Quando TUTTI si comportano allo stesso modo NON può essere un caso.
Il risultato è che il pubblico che crede di sapere tutto invece non sa un fico secco, perché basta seguire “Aljazeera” e cercare qualche foto sui siti delle agenzie in lingua araba (un’antologia è qui: http://www.cpeurasia.org/?read=6877) per rendersi conto che o tutto quel che fanno vedere questi “terroristi islamici” è frutto di qualche manipolazione al computer o siamo di fronte alla più grande operazione di sviamento delle coscienze mai vista prima: plotoni di giornalisti fabbricati in serie con l’autocensura incorporata fabbricano a loro volta le notizie e il consenso, ripetendo le solite frasi fatte ed infarcendo i loro ‘temini’ di fuorvianti termini-chiave messi in circolazione per dominare il discorso, e chi prova a dire come stanno le cose viene fatto fuori, additato come un pazzo e fatto oggetto di solerti attenzioni da parte della magistratura (v. la vicenda di Paolo Barnard, probabilmente reo d’aver profanato il ‘vitello d’oro’ col suo libro e la partecipazione a qualche iniziativa in odor di zolfo).
L’Occidente sprofonda in un mare d’ipocrisia e d’insensibilità: per tutti questi esseri umani trucidati da una barbarie, una perfidia e una malafede che non hanno eguali al mondo (si pensi al piagnisteo olocaustico), nessuna “guerra umanitaria” verrà scatenata dalla Nato (sono “affari interni”!), nessun “tribunale” e nessuna “alta corte di giustizia” pretenderà la testa di Olmert (il “premier”), con l’Onu - questo baraccone completamente inutile - che non è nemmeno in grado di emettere una misera “risoluzione” per allungare l’elenco, già chilometrico, di quelle diventate istantaneamente carta igienica alla faccia del “diritto internazionale”. E come se non bastasse, a Torino è tutto uno sbracciarsi da parte di chi ha un qualche ruolo istituzionale per accogliere “Israele” come ospite d’onore al Salone del libro. Ora avrei capito l’invito se si trattasse di un Festival del cinema dell’orrore, o dell’inaugurazione del museo della tortura, ma non si capisce che cosa abbia a che vedere con la “cultura” l’invito ad uno “Stato” con licenza di uccidere impunemente anche i bambini.
C’è chi ha detto “quando sento dire ‘cultura’ metto mano alla pistola”… ed è sempre stato dipinto come un mostro (anche se non voleva intendere quello che gli si attribuisce).
Ma celebrare la ‘cultura’ di chi mette mano alla pistola (contro dei bambini) non è forse altrettanto mostruoso?
Se ci fosse un po’ di decenza, e se a “cultura” corrispondesse ancora qualcosa di concreto, s’inviterebbero a parlare i superstiti delle famiglie palestinesi decimate (cioè quasi tutte!), e invece ci toccherà sorbire la solita sequela di “sopravvissuti” e ‘miracolati’ dell’Olocau-sto coi loro libri di “memorie”… “per non dimenticare” e affinché “non si ripeta mai più”.
In questo contesto sinceramente sconcertante, c’è un libro solo che, piuttosto, andrebbe presentato e discusso a Torino: il libro nero dell’informazione, dei giornali e delle tv, il libro nero della coscienza nera di chi non vuol vedere che oggi “si ripete” meglio e più di prima.

Enrico Galoppini
www.rinascita.it

martedì 4 marzo 2008

E' uno Stato normale?

di Maurizio Blondet

«Questa operazione è finita, ma ce ne sono molte altre in arrivo», ha detto una fonte militare israeliana d’alto livello all’agenzia ebraica YnetNews.
Certo, naturalmente.
E’questa la vita normale di uno Stato normale: spargere morte e distruzione su i vicini, periodicamente.
Con armamento e volume di fuoco da terza guerra mondiale, caccia-bombardieri, artiglieria pesante aeronavale e missili contro «nemici» selezionati fra i peggio armati, o preferibilmente inermi.
Ebrei e israeliani dovrebbero fare un breve conto sugli ultimi anni di quello Stato normale.

Gli ultimi atti: luglio 2006, Israele attacca il Libano per dare una lezione ad Hezbollah, che crede impreparato.
L’attacco, scatenato col pretesto dei quattro soldati «rapiti» dagli sciiti, è in realtà stato pianificato dal marzo precedente, come ammetterà Olmert alla Commissione Winograd.
Errore di valutazione: Hezbollah infligge gravi perdite a Tsahal.
Per rappresaglia, Israele bombarda il Libano intero, Beirut compresa, distruggendone interamente
le infrastrutture: è normale, è così che si protegge lo Stato d’Israele.
Nessuno oserà chiedere i danni per la centrale del latte devastata, per la centrale elettrica, le strade e i ponti distrutti, per il petrolio finito a mare dai serbatoi sventrati.

Oltre mille libanesi, che nulla hanno a che vedere con Hezbollah, vengono massacrati.
E dopo il cessate il fuoco che mette fine momentanea ai 34 giorni di fuoco, Israele lancia
sul territorio sud-Libanese bombe a frammentazione, che spargono oltre un milione di shrapnel esplosivi negli orti e nei campi libanesi.
Questi ordigni, che scoppiano al minimo tocco, stanno ancora uccidendo civili: almeno 40 da allora, per lo più donne e bambini.
Passa poco più di un anno.

Settembre 2007: aerei israeliani violano lo spazio aereo siriano - non è affatto la prima volta, queste intrusioni sono continue, caccia israeliani amano sorvolare a bassa quota i palazzi del governo
di Damasco - ma stavolta attaccano una installazione che indicherà poi (improbabilmente) come nucleare.
Non c’è reazione, se non verbale: la Siria non è nemmeno lontanamente armata come Israele.

E adesso Gaza, febbraio 2008.
Quei Kassam, quelle kathiusce che partono da Gaza autorizzano a bombardare un milione e mezzo di civili.
Un attacco che secondo Amnesty International ha sferrato «con sconsiderato disprezzo per la vita dei civili».
In pochi giorni, Israele massacra 113 palestinesi, «di cui almeno dieci bambini, ed altri civili disarmati non attivi nel conflitto».
Anche gli osservatori dell’ONU protestano per la «sproporzione» della reazione israeliana.
Ma non è questo che fa uno Stato normale?

Contro un kalashnikov, due carri armati Merkava; contro un Kassam, un bombardamento con F-16 da grande guerra globale.
Su gente che lo Stato normale ha previamente affamato da un anno, bloccando ogni merce, strangolando ogni possibilità di vita.
Un «nemico» che non è uno Stato, e a cui non riconosce alcuna dignità.

La nostra memoria labile, sforacchiata dalla propaganda, non ricorda che Hamas ha più volte offerto un cessate il fuoco; ignorata dal regime israeliano, che non vuole avviare alcuna trattativa
con «i terroristi».
Sicchè l’unica opzione resta lo strangolamento di un milione e mezzo di persone (sono colpevoli, hanno votato Hamas), e il bastone bellico, le bombe, le esecuzioni di «militanti di Hamas» eseguite dal cielo con missili che ammazzano ogni volta anche una mezza dozzina di passanti.
E’ così che fa uno Stato normale: ad ogni proposta, risponde col ferro e col fuoco.
Libano 2006, Siria 2007, Gaza 2008, una «guerra» asimmetrica (super-armati contro inermi) almeno una volta l’anno.

Ma nelle pause, nessuna tregua: continue violazioni dello spazio aereo in Libano, provocazioni contro la Siria, assassinii al missile in Gaza; e stringere ancora un po’ l’anello di ferro della fame e della penuria, ancora un po’ di punizione collettiva contro bambini denutriti e ridotti a mangiare pane e thè; ancora un po’ di disprezzo per gente a cui distruggi gli oliveti di tanto in tanto, giusto per tenerti in esercizio; o a cui fai mancare la luce, o i medicinali agli ospedali; a cui togli ogni speranza di vita economica, bloccando le povere merci in uscita, bloccando le povere cose
in entrata.
Uno Stato normale si circonda di un muro di 700 chilometri.
Si arma di 500 bombe atomiche e missili intercontinentali.
Progetta e studia come bombardare le installazioni nucleari dell’Iran, a duemila chilometri
di distanza.
E non si sente mai abbastanza sicuro, e vuole sempre più armi dal suo colossale servo, dal Golem americano.

Uno Stato che pretende ossequio dall’Europa con l’intimidazione e la pressione, uno Stato che pretende azzittita ogni critica, che esige di imporre leggi agli Stati altrui.
Uno Stato perennemente ostile, che non vuole né amici né alleati, ma solo strumenti e servi.
Uno Stato che vive così da decenni, rubando terra ad inermi, e minacciando, e creando attorno a sé instabilità e rovina, per sentirsi tranquillo… senza mai riuscirci.
Uno Stato aguzzino, che commette atrocità e crimini contro i civili, ma che si dichiara vittima;
che attacca e si dice attaccato.
Uno Stato che manda dovunque le sue squadre d’assassinio, i suoi kidon, ad ammazzare nel mondo; sempre impunemente, perché tutti i governi del mondo ammutoliscono di fronte a questa «vittima», hanno paura dei suoi mezzi palesi ed occulti di nuocere.

Riusciamo a pensare per un momento: quale altro Stato, quale altro regime si è mai comportato così?
Ci pensino gli ebrei: uno Stato in guerra perpetua, che affida la sua durata alla guerra perpetua contro tutti i circostanti, quanto può durare?
E’ poi così strano che tra i perseguitati e gli affamati, tra i minacciati da questo Stato, se ne sogni e se ne voglia la fine?
Gli Stati sogliono durare secoli, magari millenni; ma sinceramente, potete immaginare Israele esistente fra un secolo?
Con la sua guerra perpetua, la sua ostilità e disprezzo di ogni altro Stato e di ogni negoziato?

No, per quanto i servi intimiditi lo ripetano, lo adulino, non è uno Stato normale.
E’ uno Stato malato.
E’ uno Stato suicida.